Non si è ancora raggiunta una decisione comune nel Comitato intergovernativo delle Nazioni Unite (Inc-5) per uno strumento capace di contrastare a livello internazionale l’inquinamento da plastica. Come era successo durante la Cop29, l’ostacolo principale sono state le lobby fossili.
Tra le questioni affrontate a Busan (Corea del sud) durante Inc-5, la riduzione della quantità di plastica prodotta dai vari Paesi doveva costituire una priorità, così come la definizione di una serie di prodotti considerati pericolosi per la salute umana e l’individuazione di finanziamenti mirati a risolvere il problema di gestione rifiuti nei Paesi in via di sviluppo.
L’obiettivo principale emerso nel corso della sessione plenaria, ultima di una serie di 5 incontri, sarebbe stato quello di formulare un Trattato con misure globali vincolanti nei confronti di tutti i 100 Paesi coinvolti nella discussione, tra cui anche l’Unione Europea, ma la posizione contraria di Arabia Saudita e Russia, non ha consentito il raggiungimento dell’accordo.
La definizione stessa di prodotto o rifiuto di plastica si è rivelata problematica, così come l’ambito di applicazione del Trattato: da un lato, i Paesi più ambiziosi spingevano per una drastica riduzione della produzione della plastica; dall’altro, gli Stati petroliferi puntavano a limitare il più possibile il miglioramento dell’azione di riciclo.
Il nulla di fatto porta alla necessità di un nuovo incontro. Lo sostiene anche Inger Andersen, la direttrice esecutiva dell’Unep (Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente), che ha sottolineato la necessità di pianificare un prossimo summit, affrontando in anticipo però “conversazioni significative” per superare le profonde differenze che ancora dividono i negoziatori.
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