Sostenibilità e competitività: un binomio vincente per il futuro dell’Italia

Nonostante i significativi progressi compiuti negli ultimi anni, il tema della sostenibilità sembra oggi attraversare una fase di incertezza. Eppure, una parte consistente della società continua a credere nei principi dell’Agenda 2030, difendendo con convinzione un modello di sviluppo più equo e rispettoso dell’ambiente.

In questo contesto, l’Alleanza italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) ha presentato il suo Rapporto di Primavera 2025 in occasione dell’apertura del Festival dello Sviluppo Sostenibile. L’obiettivo è chiaro già dal titolo: “Scenari per l’Italia al 2035 e al 2050. Il falso dilemma tra competitività e sostenibilità”, il rapporto delinea, infatti, quali scelte potrebbero guidare il nostro Paese verso un futuro prospero, equo e sostenibile.

Il rapporto, realizzato con la collaborazione di Oxford Economics, presenta quattro scenari al 2035 e al 2050, valutando l’impatto della transizione ecologica sull’economia italiana. Le simulazioni dimostrano che sostenibilità e competitività non sono affatto in contrasto, anzi: investire nella decarbonizzazione e nell’economia circolare può offrire benefici tangibili, sia sul piano economico che sociale.

Le aziende italiane stanno mostrando una crescente attenzione alla sostenibilità ambientale. Secondo il censimento Istat 2021-2022, quasi 4 imprese su 10 con almeno tre dipendenti (il 37,9%) hanno realizzato nel biennio almeno un’iniziativa a favore dell’ambiente. L’impegno varia in base alla dimensione aziendale: il 34,5% delle piccole imprese (3-9 addetti), il 65,6% di quelle medie (50-249 addetti) e ben il 73,8% delle grandi aziende con 250 o più dipendenti.

Ecco un breve riepilogo dei possibili futuri tracciati:

  • Net Zero: raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 comporta sacrifici iniziali, come un calo del PIL dell’1% entro il 2035, ma già dal 2045 si registrerebbe un netto miglioramento, con un aumento del PIL del 3,5% entro la metà del secolo.
  • Net Zero Transformation: con un piano strategico e forti investimenti in innovazione, il PIL crescerebbe già dell’1,1% nel 2035, per arrivare all’8,4% nel 2050. Anche il tasso di disoccupazione si ridurrebbe sensibilmente.
  • Transizione tardiva: se si dovesse rinviare ulteriormente l’azione concreta, al 2030 i costi sarebbero molto più alti, con un PIL inferiore del 2,4% nel 2035 e una disoccupazione all’8%.
  • Catastrofe climatica: lo scenario peggiore, con il ritorno ai combustibili fossili, aumenterebbe eventi climatici estremi e farebbe crollare il PIL del 23,8% entro il 2050, con la disoccupazione al 12,3%.

I dati parlano chiaro: le aziende italiane che hanno puntato sulla transizione ecologica stanno ottenendo risultati concreti. Nel settore manifatturiero, l’adozione di pratiche sostenibili si traduce in un aumento di produttività compreso tra il 5% e l’8%. Inoltre, secondo Cassa Depositi e Prestiti, l’economia circolare ha già generato oltre 16 miliardi di euro di risparmi in costi di produzione. Le imprese “circolari” si distinguono anche per una maggiore solidità finanziaria, che consente loro di investire di più e ridurre l’indebitamento. Secondo un’indagine di The European House – Ambrosetti, oltre il 90% delle aziende riconosce nella sostenibilità un valore aggiunto, soprattutto in termini di reputazione e fiducia del brand.

Le sfide ancora aperte

I vantaggi della transizione sostenibile non saranno automatici. Occorrono scelte politiche coraggiose, investimenti mirati e soprattutto un forte impegno nella formazione e valorizzazione del capitale umano, oggi ancora carente.

Il Rapporto di Primavera rileva che, nonostante i buoni propositi, l’Italia non ha ancora attuato quel “cambio di passo” necessario per recuperare i ritardi rispetto agli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Per invertire la rotta, l’ASviS propone l’elaborazione di un Piano di accelerazione trasformativa (PAT) da includere già nella prossima Legge di Bilancio.

Tra le proposte: potenziare i servizi sanitari; riformare il sistema educativo; migliorare la competitività integrando misure europee; rendere più ambizioso il Piano nazionale energia e clima (PNIEC); trasformare le città in laboratori per l’attuazione dell’Agenda 2030; infine, proteggere i beni comuni ambientali.

La coerenza è il primo passo

L’Italia ha già adottato una Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile nel settembre 2023, in occasione del vertice ONU. Ora è il momento di passare dalle parole ai fatti, come sottolinea Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’ASviS: “Basterebbe rispettare gli impegni presi”.

La sostenibilità non è un ostacolo alla crescita, ma una leva strategica per costruire un futuro migliore, più equo e resiliente. Il tempo per agire c’è ancora, ma le scelte devono essere fatte ora. Perché non esiste competitività senza un pianeta sano su cui farla valere!

 

Fonte: ASviS

 

Autore: Benedetta Donà

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